martedì 15 febbraio 2011

L’inseguimento (remix)


Constance Manchette sprizzava gioia da tutti i pori. Finita la giornata lavorativa era subito corsa dal concessionario Fiat di Rue de Montparnasse a ritirare la sua nuova auto, quella Fiat Cinquecento che tanto aveva desiderato da quando era uscita, qualche mese prima. Appena l’aveva vista in pubblicità aveva capito che quella era la “sua” auto, piccola e carina, proprio come lei, bionda, un metro e sessanta di pur sucre, una bambolina.
  E allora via di straordinari per riuscire a mettere insieme la cifra dell’acconto. E adesso era lì che guidava la sua Cinquecento color crema, lo stesso colore della vecchia 500 che suo papà possedeva negli anni ’60 di cui le aveva raccontato meraviglie, in direzione del Bistrot Chat Noir, dove diversi amici l’aspettavano per farle un po’ di festa e farsi offrire da bere.
  Stava guidando tranquilla quando si accorse di una Mercedes nera con i vetri oscurati che le stava attaccata al paraurti -il solito stronzo con l’uccello minuscolo- pensò e fece per farlo passare ma l’auto le rimaneva dietro incollata. Allora presa dal panico accelerò e cercò di seminare l’auto teutonica. Stava seguendo proprio lei, non c’erano dubbi, la lancetta saliva 80, 90, 100 e la Mercedes sempre dietro.
  Per fortuna che lungo la circonvallazione a quell’ora c’era poca gente, il tachimetro arrivò fino ai 160 e “il tedesco” sempre dietro con i fari accesi.
  Un paio di sorpassi azzardati e l’uscita all’ultimo momento verso l’Avenue de Nations Unies permisero a Constance di seminare la Mercedes.

O
ra era in salvo, arrivò ad un semaforo rosso, rallentò fino a fermarsi
Vuoi la scarsa sensibilità verso la nuova auto, vuoi la tensione accumulata l’auto si spense all’arrivo del verde.
  Constance era nel pallone, continuava a girare la chiavetta dell’auto che faceva quell’orribile e inutile rumore prrpppp, prrpppp, prrpppp, l’auto non si accendeva e in lei cresceva sempre più il panico, con lo sguardo fisso allo specchietto retrovisore per paura di veder spuntare la Mercedes nera.
E invece arrivò una Peugeot 407 verde, che accostò proprio dietro di lei.
  Dall’auto scese un omone nero alto quasi due metri. Constance paralizzata dalla paura non riuscì a pensare a niente di meglio di quanto sarebbe stato scomodo seduto nei sedili posteriori della sua Cinquecento. Poi un attimo di lucidità, si girò e mise una mano nella borsetta cercando il cellulare, che le cadde sotto il sedile dallo spavento quando l’uomo le bussò al finestrino.
  -Ha bisogno di aiuto signorina?- disse l’uomo.
Constance lo guardò attraverso il vetro appannato, era abbastanza sovrappeso, sui quarantacinque, con un occhio semichiuso che gli dava uno sguardo gioviale accentuato dal sorriso che le mostrava. In pochi istanti il suo cervello prese la decisione –inoffensivo- pensò, aprì la portiera e scese dall’auto.
  -grazie, penso di aver fuso il motore, la macchina è ancora in rodaggio e…-
Non riuscì a finire la frase che si rese conto di aver preso il più grosso e pericoloso abbaglio della sua vita quando l’uomo la colpì alla tempia col calcio di una Desert Eagle calibro 45 che era apparsa magicamente nella sua mano destra.
La caricò senza fatica nel bagaglio della Peugeot e si allontanò sgommando.
-il pacco è in arrivo, tra qualche minuto avrai un’altra bambolina per i tuoi giochetti, Peter, ed è molto meglio dal vivo che in fotografia- disse il nero al vivavoce dell’auto
-Bel lavoro Forrest, ci vediamo dopo- risposero all’altro capo del telefono cellulare
L’auto si ributtò sul vialone che avevano percorso in precedenza, questa volta direzione La Defence
La
macchina correva lungo l’asfalto bagnato, si infilò sotto il tunnel dell’Alma quando un violento colpo investì l’auto in pieno sul lato sinistro, che quindi sbandò verso il marciapiede, una gomma lo prese in pieno ed esplose.L’uomo non riuscì più a tenere l’auto in carreggiata che andò a schiantarsi contro il colonnato che separava le due corsie di marcia, l’ultima cosa che vide fu il bianco dell’airbag che gli esplodeva sul viso.


-Signorina Manchette, signorina Manchette, mi sente?-
Constance era tramortita, la luce al neon del tunnel la ridestò di colpo quando il baule si aprì, due mani forti la afferrarono e la tirarono fuori dall’auto ormai ridotta ad un cartoccio.
    -Signorina Manchette, niente di rotto?- era sdraiata sull’asfalto umido e chi le parlava era un uomo mai visto, bello, elegante, sui 35 anni, che in altre situazioni avrebbe definito come molto interessante.
    -Sono David Trafonis, un investigatore della Sûreté, vigilo sulla sua sicurezza da quando un mese fa suo padre ha ricevuto delle minacce riguardo quel processo che deve istituire contro la mafia corsa.

-Allora era lei che mi seguiva con quella maledetta Mercedes nera, non sa che paura mi ha fatto

-ma veramente la mia auto è quella- il poliziotto indicò una anonima Citroen bianca,ferma qualche decina di metri indietro, ora tutta ammaccata sul lato destro

In quel momento, con un rumore assordante, entrò nel tunnel a tutta velocità la Mercedes nera con i finestrini oscurati, l’agente non fece in tempo ad accorgersi del pericolo che dall’auto in corsa venivano esplose due brevi ma letali raffiche di mitragliatore che  investirono con decine di proiettili al teflon Constance e Trafonis. Nessuna possibilià di salvezza.

Mentre si accasciava al suolo, stravolta dal dolore e intrisa di sangue, Constance ripensò alla sua bella Cinquecento, ferma tutta sola ad un semaforo in una zona sconosciuta della sua Parigi.

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